Due persone in carcere, nove ai domiciliari; beni per 4, 5 milioni di euro sequestrati. L’operazione, denominatain codice Bratislava, è stata condotta dalla Guardia di Finanza di Cassino, coordinata dalla Procura di Roma. Si ipotizza l’esistenza di un’associazione dedita alla commissione di reati economici finanziari.
Tutto è partito dai controlli su una società, con sede per un breve periodo a Cassino, operante nel settore di servizi di pulizia generale di edifici: la stessa – secondo le accuse – pur avendo indicato nei bilanci ricavi per più di 20 milioni di euro, non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per un periodo che va dal 2013 al 2018. Secondo la Finanza l’amministratore della società aveva il ruolo di “testa di legno” in connessione con un contesto più ampio, ramificato nell’hinterland capitolino.
I finanzieri hanno, quindi, individuato quella che ritengono essere un’associazione per delinquere, che gestiva una galassia di società – di cui 8 italiane, con sede a Roma, e 3 estere, con sede in Bratislava (in Slovacchia) -, tutte formalmente amministrate da soggetti “prestanome”.
Come si muoveva il gruppo? Dapprima – dicono gli inquirenti – si preoccupavano di presentare le società come affidabili e fiorenti, poi facevano passare i prestanome come manager di successo in occasione degli incontri con le banche e con i fornitori, scegliendo anche i capi di abbigliamento che dovevano indossare e suggerendo le frasi da utilizzare nel corso dei colloqui.
Grazie a tali espedienti, raggirando i funzionari preposti ai controlli, i sodali carpivano la fiducia degli istituti di credito, ottenendo complessivamente finanziamenti per oltre 7 milioni di euro. Una volta ricevuti i prestiti, le società venivano portate al fallimento, causando non solo un danno nei confronti delle banche per circa 5 milioni di euro, ma anche dell’Erario, con debiti tributari per oltre 70 milioni di euro.
I due soggetti al vertice del sodalizio criminale, UN 46ENNE ED UN 57ENNE, (L.R. di 46 anni e M.V. di 57 anni), entrambi di Roma, amministratori “di fatto” di tutte le società coinvolte conducevano una vita “da nababbi”, riciclando i guadagni illeciti mediante l’acquisto di immobili, auto di grossa cilindrata ed orologi di lusso, mentre agli amministratori di diritto veniva riconosciuta una “paghetta” mensile di poche centinaia di euro.