Di seguito il discorso del Ministro Piantedosi nel Salone di Rappresentanza della Provincia di Frosinone
Sono particolarmente lieto di poter consegnare personalmente la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Provincia di Frosinone.
Un importante riconoscimento che ho fortemente voluto a tributo delle ingenti perdite umane, delle immani sofferenze, delle privazioni e dei diffusi fenomeni di distruzione e devastazione che questo territorio ha dovuto patire durante il secondo conflitto mondiale.
Un conferimento quello alla Provincia, a cui tengo particolarmente, nella consapevolezza che l’intera Ciociaria fu, in virtù della sua valenza strategica, pesantemente segnata e colpita nel corso dei tragici eventi bellici.
Desidero ringraziare il Dottor Paolo Mieli, profondo conoscitore di quel periodo storico e della Resistenza, per aver aderito all’invito a partecipare a questa solenne cerimonia.
D’accordo con le Istituzioni locali, abbiamo scelto, non a caso, che la consegna della Medaglia si tenesse oggi, il 25 aprile, festa nazionale della Liberazione dall’occupazione nazifascista.
Per nessuna ragione è consentito svilire il senso unico della Liberazione o infarcirlo
di contenuti estranei a quel prezioso frangente della Storia d’Italia, da cui ebbe origine la democrazia. Ogni tentativo di legittimare battaglie ideologiche, decontestualizzando così la ricorrenza del 25 aprile, equivale ad appropriarsi dell’identità di tutti per le ragioni di alcuni.
Il 25 aprile celebriamo chi ha saputo guardare oltre la guerra, oltre la disgregazione, oltre il proprio dolore, per un obiettivo più grande: un progetto di Italia unita e democratica.
Non sto solo parlando di chi la democrazia l’ha teorizzata come progetto politico e difesa con le armi.
Sto parlando anche delle persone comuni, di quanti hanno praticato e difeso il sentimento democratico nella propria quotidianità, resistendo alla tentazione di cedere all’odio, pur avendo sperimentato ogni male.
Su queste persone, oltre che sui principi, si fonda la nostra Repubblica.
La Liberazione fu un processo lungo, lastricato dei sacrifici degli italiani. Ebbene, una parte ingentissima di quei sacrifici furono sopportati dalle genti ciociare.
L’occupazione militare nazifascista fu estenuante, dal settembre del ’43 alla primavera del ’44: fonti bibliografiche narrano che bastarono pochi giorni alle truppe naziste per prendere possesso di ogni cosa. Furono requisiti immediatamente abitazioni e viveri, furono chiuse le attività commerciali e soppressi i mercati. Fu inibita la libertà di circolazione, le strade erano congestionate da carri armati, e artiglieria. La popolazione, continuamente minacciata, si trovava impotente e inerme di fronte all’uso della forza.
Penso, ad esempio, ad Anagni che, oltre ai danneggiamenti del proprio patrimonio artistico e culturale, patì per lunghi mesi pesanti restrizioni dovute alla scelta degli occupanti nazifascisti di adibirla a centro ospedaliero militare. E ancora ad Alatri, che divenne luogo di ammassamento delle truppe tedesche ma anche centro di destinazione di un gran numero di sfollati.
Ma non fu solo l’occupazione a prostrare la popolazione. Arrivarono anche i bombardamenti.
Non possiamo dimenticare che a Cassino – già totalmente devastata a seguito dei ripetuti attacchi susseguitisi a partire dal 10 settembre 1943 – la guerra raggiunse il suo apice, con la distruzione dell’Abbazia benedettina di Montecassino, luogo di culto e di pace.
La stessa Frosinone, sino al maggio del 1944, fu interessata da incessanti bombardamenti, ben 56, che causarono numerosissime vittime e ingentissimi danni materiali. Secondo i documenti dell’epoca e secondo le ricostruzioni storiche, in rapporto al numero di abitanti e al patrimonio edilizio, Frosinone fu il Capoluogo di provincia più duramente colpito con oltre l’80% del tessuto cittadino raso al suolo.
La mattina del 31 maggio 1944 quando le truppe canadesi riuscirono finalmente ad entrare a Frosinone, per poi liberarla definitivamente nelle prime giornate di giugno, trovarono una città desertificata e lacerata.
Anche le aree a nord della provincia, seppur meno direttamente coinvolte nel teatro bellico, subirono, a causa della loro collocazione geografica e della presenza sul proprio territorio della via Casilina, indicibili sofferenze. L’allontanarsi del fronte bellico non pose, tuttavia, fine al martirio di questa terra.
Gli abitanti di ampie parti della provincia, già stremati da mesi di guerra e di occupazione, dovettero pure affrontare violenze e sopraffazioni operate dai reparti coloniali aggregati agli Alleati, che si resero responsabili di saccheggi, stupri e atroci delitti, con ciò tradendo i supremi valori morali e civili che ispirarono l’azione stessa di Liberazione.
Una tragedia che reca in sé un potente messaggio di riscatto e speranza: in questa terra si è creduto nella libertà anche quando alla libertà si mischiava altra insopportabile violenza.
Vittime di entrambi, vinti e vincitori, i ciociari hanno guardato oltre le indicibili vessazioni subite e incarnato quella conciliazione che nella Costituzione ha trovato poi la sua definitiva consacrazione.
Due volte offeso, il popolo ciociaro due volte ha creduto nella democrazia: prima ribellandosi con coraggio e dignità alla feroce brutalità degli occupanti nazifascisti – anche supportando generosamente gli Alleati nella loro avanzata – poi stringendosi in una salda rete di comunità per sopravvivere alla violenza, ricostruendo, nei fatti, con solidarietà e abnegazione, un tessuto sociale rigenerato e coeso.
Sono innumerevoli gli esempi che si potrebbero fare per ricordare come e quanto questa provincia abbia sofferto per le devastazioni della guerra, quanti innocenti di questa terra persero la vita, i loro cari, i loro affetti o furono sottoposti a tremende afflizioni.
Tutti quei fatti dimostrano a quale svilimento dei più basilari ed elementari valori umani, a quale abisso morale possa condurre la furia bellica.
Qui, come altrove, va tenuta viva la memoria di quegli accadimenti sia per un dovere etico nei confronti delle vittime, di cui ancora oggi non si conosce l’esatto numero, sia perché la memoria costituisce un severo monito affinché quanto accaduto non abbia più a ripetersi.
Consentitemi di concludere ricordando che nell’anno in corso, oltre all’ottantesimo anniversario del bombardamento dell’abbazia benedettina di Montecassino, ricorre anche il sessantesimo anniversario della proclamazione, per volontà di Papa Paolo VI, di San Benedetto patrono dell’Europa, avvenuta proprio nel giorno in cui la chiesa abbaziale di Montecassino, distrutta 20 anni prima, venne riconsacrata.
I due fatti sono intimamente collegati.
Fu un atto simbolico, infatti, quello di proclamare San Benedetto patrono d’Europa in concomitanza con la restituzione dell’abbazia alla devozione:
San Benedetto aveva salvato già una volta l’Europa dalle tenebre – dopo il crollo dell’Impero Romano – istituendo quella regola, fatta di spiritualità e lavoro, su cui si erano riconosciuti popoli divisi e distanti.
Allo stesso modo, Papa Montini affidò a San Benedetto, dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, la custodia di una Europa finalmente unita e riconciliata nei medesimi principi morali e civili.
L’epopea dell’abbazia, tesoro inestimabile di questa terra, è l’allegoria dell’abisso in cui è precipitata l’Europa, ma anche della sua rinascita. Quei valori che sembravano periti nel conflitto, hanno resistito e hanno dato impulso alla ricostruzione.
Da ciò l’importanza della memoria dell’occupazione e della guerra, non solo per le genti ciociare che oggi ricevono la Medaglia d’oro al Merito civile, ma per tutti noi.
Rievocare le pene sofferte dal popolo ciociaro, da parte dei nazifascisti ma anche da parte di truppe aggregate agli Alleati, non deve servire a fare esercizio di retorica, ma a riconoscere il merito di una comunità che, nonostante le immani sofferenze patite, scelse di proiettarsi e credere nel futuro oltre ogni rivendicazione, senza cedere a tentazioni divisive.
I ciociari, come il resto degli italiani, compirono enormi sforzi per contribuire,
una volta conclusasi la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, alla rinascita del nostro Paese: a chi si adoperò eroicamente in quei drammatici frangenti, a chi continuò a credere nella democrazia, pur avendo visto la propria vita stravolta, deve andare il nostro più sentito ringraziamento.
L’Europa, nata da una speranza di pace e da una ritrovata unità di intenti basata sul rispetto dei valori democratici e della dignità umana, si deve anche ai sacrifici di questa terra coraggiosa che ha saputo, nonostante tutto, guardare oltre.
Ed è quindi da qui che ci piace augurare Buona Festa della Liberazione a tutti!